Esperienza di viaggio nella Repubblica Democratica del Congo

Corrado e Gabriella volevano condividere con tutti i colleghi di OPI Varese l’esperienza conoscitiva di una parte della realtà sanitaria che hanno potuto fare in un recente viaggio nella Repubblica Democratica del Congo. Il viaggio è stato organizzato in seguito all’invito di un amico, il cappellano dell’ospedale di Cuggiono, Don Benjamin Masumu originario proprio della RDC dove, tra l’altro, ha una scuola nel Municipio di Bumbu della capitale Kinshasa, che per intenderci conta 17 milioni di abitanti; proprio in quel quartiere ha la casa dove ci ha ospitato, vivendo lì abbiamo potuto conoscere la realtà locale.
Nella zona centrale della città ci ha colpito la presenza, lungo le strade, di enormi manifesti pubblicitari che invitavano ad utilizzare prodotti repellenti le zanzare, l’importanza del lavaggio delle mani e la possibilità di vaccinarsi contro il Covid.

Ci spiegherà il Dott. Benjamin Kilenga, medico chirurgo che si occupa anche di ostetricia, lui ha studiato nella prestigiosa università di kinshasa. I vaccini ci sono, soprattutto Astrazeneca, per Pfzier non potrebbe esserne garantita la corretta conservazione a causa delle basse temperature a cui deve essere conservato. Il sistema elettrico non garantisce continuità di fornitura di energia, alle volte per intere giornate la corrente elettrica manca, ci si arrabatta con gruppi elettrogeni più o meno funzionanti. La percentuale di cittadini vaccinati è molto bassa, anche li le informazioni che circolano su AstraZeneca sono le stesse che da noi, per cui preferiscono evitare. Il lavaggio corretto delle mani è un comportamento acquisito in tutti i pubblici esercizi, prima di entrare nei negozi, supermercati, chiese, ristoranti, banche, ecc. Distanziamento e mascherine sono concetti alternativi, non contemplati; diciamo la verità, il tasso di popolazione della capitale, la struttura delle abitazioni ed il modo di vivere non lo renderebbero assolutamente possibile. Ci informano che nella capitale ci sono, comunque, 6 ospedali dedicati alla cura dei malati di covid, rispetto al numero della popolazione significa che l’infezione non colpisce così tanto. In RDC sono endemiche Malaria, Tifo, Zica e nel nord del paese focolai attivi di Ebola.

Mentre il centro città assomiglia a tutte le capitali mondiali con palazzi, strade asfaltate a più corsie, insegne luminose ed alto tasso di smog, nei quartieri periferici la fotografia cambia completamente. Bumbu è uno dei quartieri più poveri e popolosi, è pieno di baracche più o meno cementificate, le strade sono distese di sabbia dove auto, moto e pedoni fanno fatica a muoversi, tantissime le botteghe e lavori artigianali che si svolgono direttamente sui marciapiedi. Durante il nostro soggiorno a Bumbu abbiamo avuto la possibilità di addentrarci un pò nella realtà sanitaria visitando alcuni piccoli ospedali, aiutati a capire la loro importanza e funzione grazie al tempo che il Dott. Kilenga ci ha dato per spiegarci alcuni aspetti.
Nella zona centrale della città ci sono ospedali “pubblici” ( tra virgolette perché i trattamenti sanitari prevedono ticket anche onerosi) con un po tutte le specialità ,diciamo che assomigliano ai nostri. Mentre in periferia ci sono tantissimi ospedali piccoli per garantire un triage di pronto soccorso e dico triage perché è solo una valutazione che viene fatta in un ambulatorio, dimentichiamo i nostri pronti soccorsi con possibilità si fare indagini diagnostiche, prelievi e quant’altro. Se la situazione è complicata il paziente viene trasportato in un ospedale centrale.

Questi piccoli ospedali hanno tutti il reparto maternità, chirurgia, la piccola chirurgia, ambulatorio di tutela dei bambini (controllo della crescita, vaccinazioni, stato nutrizionale). Ci sono ancora bambini che muoiono di malaria. Dice che i casi di infezione da HIV non sono così tanti (ma…gli vogliamo credere).

Nella RDC c’è un altissimo tasso di natalità, lo stato provvede ad una tutela della donna e del bambino.
Il Dott. Kilenga ci racconta che ogni donna ha minimo 5 figli. Tanti figli significa forza lavoro per la famiglia e salute, ai nostri occhi vediamo solo tanta miseria e incertezza del futuro ma la gente non lo vive, li vediamo tutti sereni, vivono proprio alla giornata. Chiediamo se lo stato si preoccupa di fare una campagna di controllo delle nascite, il medico dice di si ma le donne si rifiutano. Ci racconta che qualche giorno prima una ragazza va nel suo ambulatorio per farsi applicare una spirale come contraccettivo, dopo alcuni giorni la ragazza torna accompagnata dalla madre che saputolo chiede di rimuovere subito il dispositivo, non fare figli è disonorevole.

IL pacchetto parto prevede degenza tre giorni per parto naturale, ticket 20 dollari, non tutte ce li hanno, vengono trattenute in ospedale finchè non viene assolto il debito di cui nel frattempo aumenta la quota. In un altro ospedale abbiamo conosciuto una madre che era li da due mesi con due gemelle.
I letti ospedalieri li avevo visti nei film sulla Seconda guerra mondiale, i materassi sono di gommapiuma alti 5 cm, non ci sono lenzuola. Non esistono pasti nella degenza, se non lo portano i parenti non si mangia. Non riusciamo nemmeno a riconoscere il colore del pavimento. I bagni sono esterni.
Il Dott. Kilenga ci permette di visitare la sala operatoria, non ci sono interventi in corso. Una porta di legno di quelle tipiche di appartamento ci introduce direttamente dal corridoio in una piccolissima stanza, è la sala operatoria (alla faccia delle zone filtro, sala preparazione, sala risveglio e quant’altro), il medico dice che l’equipe è formata da chirurgo, anastesista e ferrista. Ci chiediamo dove possano mettersi, la stanza è piccolissima, il letto operatorio con macchie e residui inquietanti, la scialitica è rotta da tempo, si opera con la luce di una lampadina. Non abbiamo visto un lavandino dentro, ci chiediamo dove il chirurgo lavi le mani ma non osiamo chiedere. La stanza 3×3. Tutti quei discorsi su sterilità, infezioni in sala operatoria, ma il medico riferisce pochissimi casi di infezioni nel post-operatorio. C’è un reparto degenza per la maternità, 6 letti occupano tutta la stanza, si passa a fatica, piccole finestre, non c’è aria condizionata (ora che l’inverno sta finendo siamo sui 32 ° di giorno), l’aria è proprio irrespirabile. Nell’ospedale nascono circa 350 bambini l’anno. Ci sono tanti ospedali così strutturati a Bumbu e tutti quelli che abbiamo visto hanno questa media di nascite se moltiplichiamo per tutti gli ospedali che ci sono; solo a dare un’idea.

L’ospedale comunque garantisce apertura nelle 24 ore. Ci sono 2 infermieri per turno, un coordinatore infermieristico, 2 medici ed un amministrativo. Due infermiere poi si occupano dell’ambulatorio pediatrico.
Vedo per terra fiale rotte alcune garze sporche, chiedo come vengono smaltiti i rifiuti ospedalieri. Ogni ospedale ha nel suo cortile una sorta di grande barbecue che fa da inceneritore e li vengono smaltiti dai pezzi anatomici a tutto quello che è spazzatura. Vorremmo precisare che in città non c’è un sistema di smaltimento spazzatura ma ognuno fa da sé o quasi bruciando comunque i rifiuti.
Ci accompagna ad un piano superiore, è un cantiere, vorrebbe ingrandire la sala operatoria, i lavori vanno a rilento i soldi arrivano a fatica.
Alla fine, il regime di quegli ospedali è una sorta di privato accreditato ma gli incassi riescono coprire solo le spese del personale e del materiale sanitario.
Ci ripromettiamo in qualche modo di dare un piccolo contributo affinché la sua sala operatoria si possa definire sala operatoria anche per l’europeo che si troverà per caso a Bumbu .
Corrado e Gabriella

Disponibile il nuovo numero di
gennaio – marzo 2023

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